Furti cavi di rame: oltre 50 colpi solo nel 2017, 8 arresti VIDEO

Nell'ambito dell'operazione denominata "Black Out" denunciate anche altre 3 persone. 

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Furti cavi di rame: oltre 50 colpi messi a segno solo nel 2017. 8 le persone arrestate nell’ambito dell’operazione “Black Out”.

Furti cavi di rame

Nei giorni corsi i Carabinieri di Cremona, in collaborazione con quelli di Milano, Lodi, Pavia, Udine e Bologna hanno dato il via all’operazione denominata “Black Out”, rintracciando e traendo in arresto, in esecuzione di un’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Cremona – Ufficio del G.I.P. dott.ssa Elisa Mombelli, 8 soggetti, tutti ritenuti responsabili – in concorso ed a vario titolo tra loro – dei reati di furto aggravato e ricettazione. Nell’ambito della medesima indagine, sono stati anche deferiti in stato di libertà altri 3 soggetti in passato già arrestati in flagranza di reato, (così giungendo al totale di 11 coinvolti, dei quali 10 nomadi di etnia rom ed un italiano, rispettivamente domiciliati nei Comuni di Sant’Angelo Lodigiano (LO), Caselle Lurani (LO), Vigevano (PV), Miradolo Terme (PV), Badia Pavese (PV), Corteolona (PV) e Santa Cristina e Bissone (PV).

L’indagine

L’attività investigativa, condotta dai militari dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Cremona, coordinata dal Sostituto Procuratore dott. Francesco Messina della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cremona, è stata avviata nel mese di luglio 2016 e seppur interrotta operativamente per alcuni mesi, a causa della fuga di alcuni componenti del gruppo criminale in Romania, loro paese di origine, è poi ripresa e proseguita per tutto il 2018.

Le razzie

Abili nell’organizzare in poche ore razzie sistematiche di intere aree geografiche e capaci di non fermarsi di fronte a nessun ostacolo. Sono risultati responsabili di aver sottratto, in decine di colpi, centinaia di chilometri di conduttori di rame, costituenti le campate aree della media tensione dell’energia elettrica, prelevandoli dagli altissimi tralicci presenti sulle zone più isolate della bassa padana lombardo – emiliana e sulle risaie della Lomellina e del pavese, causando gravi danni alle società di erogazione e non poche difficoltà ad aziende e piccoli centri abitati, provocati dai numerosi “black out” elettrici che spesso hanno costretto a sospendere le attività produttive e creato grave disagio alla vita delle comunità.

Operanti in particolare nelle province di Cremona, Milano, Lodi, Pavia e Piacenza, unitamente ad altri alternabili fiancheggiatori, sono risultati autori di un numero impressionante di furti, anche di altri tipi di metalli, nonché cavi elettrici interrati negli incanalamenti di strutture industriali, di ingenti quantitativi di altre merci, veicoli ed attrezzi di lavoro, a danno di abitazioni ed aziende, società del settore distribuzione ed erogazione energia elettrica, cantieri edili, aziende agricole, uffici e magazzini vari. Sono stati registrati oltre 50 colpi.

Il ricettatore

L’attività d’indagine ha altresì permesso di individuare il ricettatore del gruppo. Un pensionato italiano con un ruolo ben preciso anche nell’organizzazione logistica dell’attività di smercio, nella fase del trasporto della merce e del rame, sia del suo piazzamento per cui alimentava un florido giro d’affari. Beni che poi reintroduceva nella catena di commercio lecito attraverso alcuni gestori compiacenti con cui è risultato mantenere stretti legami, in particolare nelle province di Piacenza e Pavia e per cui sono ancora accertamenti in corso.

Modus operandi

Le indagini hanno dimostrato come i componenti della banda, avevano due basi presso due campi nomadi, uno in Vigevano (PV) (ubicato in via San Marco) e l’altro a Sant’Angelo Lodigiano (LO) (presso la Cascina Belfuggito), da cui partivano per aggredire obiettivi a diversi chilometri di distanza, scegliendo in particolare zone piuttosto isolate ed agendo in tempo notturno.

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Un gruppo di nomadi di etnia rom, strettamente collegati tra loro che si occupavano di organizzare i furti sin dalle fasi iniziali, quali ad esempio la perlustrazione delle zone più adatte al compimento degli illeciti. Nel corso della medesima notte, infatti, i malviventi asportavano, dapprima, furgoni, autovetture, parcheggiati all’interno di abitazioni e di alcune ditte del posto, dopo aver prelevato le chiavi dai locali adibiti ad ufficio, e, successivamente caricavano sui mezzi rubati rame nel frattempo prelevato dai cavi della media tensione. Tali azioni predatorie hanno portato a danni economici rilevanti sia alle ditte colpite che spesso, oltre ai mezzi rubati, si vedevano sottratti anche ulteriori beni (quali computer ed attrezzature di lavoro), sia alle società ENEL S.p.A., in quanto ogni furto provocava un danno economico tra i 10mila e gli 85mila euro.

Manomessi i sistemi di videosorveglianza

E’ emerso che ogni componente della banda si recava sul luogo del reato provenendo da una delle due basi in provincia di Pavia e Lodi, per poi tornarvi nelle prime ore del mattino seguente. Spregiudicati e scaltri, tanto da “isolare” intere aree occupate da insediamenti e centri abitati, anche “bonificandole” manomettendo i sistemi di allarme e quelli di videosorveglianza, così riuscendo a ritardare l’intervento delle Forze di Polizia prima ed il loro proseguo delle attività d’indagine poi. Proprio questa tecnica, l’impressionante ripetizione dei singoli delitti, le modalità di realizzazione degli stessi, l’abilità nel manomettere i citati sistemi di allarme e videosorveglianza elettronici, l’apprensione di beni di notevole valore economico e la successiva vendita degli stessi, nonché l’intercambiabilità fra loro dei soggetti agenti e i significativi contatti anche con terzi inseriti nel mercato illecito, sono stati ritenuti dal GIP di Cremona, prova di preordinazione di azioni e di mezzi e pertanto indice di evidente capacità organizzativa, di professionalità, tutti elementi di sicuro rilievo ai fini del giudizio in relazione allo loro preoccupante e grave pericolosità sociale.

Introduzione della refurtiva nel mercato lecito

L’attività d’indagine ha altresì permesso di individuare ed arrestare un pensionato italiano, resosi responsabile del reato di furto aggravato e ricettazione, avendo acquistato in diverse circostanze ingenti quantitativi di rame (ricavati dai conduttori e dalle bobine), dai citati soggetti, ben sapendo che si trattava di beni di provenienza furtiva. E’ stato accertato trattarsi di un vero e proprio riferimento del settore della ricettazione del rame. Conosciuto non solo dai componenti della banda dei “freeclamber”, ma anche da altri malviventi dediti alla commissione di qualunque tipo di furto. Un soggetto con un ruolo ben preciso anche nell’organizzazione logistica dell’attività di smercio, nella fase del trasporto della merce e del rame, sia del suo piazzamento. Beni che poi reintroduceva nella catena di commercio lecito attraverso alcuni gestori compiacenti con cui è risultato mantenere stretti legami, in particolare nelle province di Piacenza e Pavia. Proprio per accontentare le richieste della “clientela di fiducia”, spesso indicava gli obiettivi da colpire e commissionava furti di particolari prodotti, come alimenti e attrezzature per i bar. Nel corso dell’operazione sono state eseguite anche diverse perquisizioni domiciliari che hanno permesso di ritrovare parte della refurtiva: si stima che il valore della merce rubata dalla banda superi il milione di euro.

Gli arresti

L’esecuzione della misura cautelare in carcere da parte dei Carabinieri di Cremona, ha comportato un’importante attività di localizzazione e rintraccio di alcuni dei destinatari, in quanto nel corso dell’ultimo anno gli stessi, avendo compreso di essere attivamente ricercati quali destinatari di altre misure restrittive emesse da alcune Procure della Repubblica di altre città del Nord Italia, risultavano aver lasciato le basi di Vigevano e Sant’Angelo Lodigiano per fuggire in Romania dove si sentivano al sicuro. Per la citata abilità operativa però, su richiesta di altri componenti di bande criminali della stessa etnia, spesso anche con legami di sangue, è risultato che gli stessi siano rientrati a più riprese in Italia per commettere furti di altra tipologia. Sono infatti stati localizzati anche in altri centri diversi da quelli dove avevano residenza o domicilio.

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